GEM ACADEMY EVENTO 2021

Nei pazienti con malattie infiammatorie immunomediate (IMID) in 1 caso su 4 c’è un rischio di associazione tra le stesse. La tavola rotonda di apertura della Terza edizione del digital event GEstione Multidisciplinare della combinazione di malattie infiammatorie immunomediate è stata l’occasione per il board scientifico di GEM Academy composto da Fabrizio Conti,  Professore Ordinario di Reumatologia - Dipartimento di di Scienze Cliniche Internistiche, Anestesiologiche e Cardiovascolari, Sapienza Università di Roma, Giampiero Girolomoni, Professore Ordinario di Dermatologia e Direttore della Clinica Dermatologica dell’ Università degli Studi di Verona, e Maurizio Vecchi, Professore Ordinario di Gastroenterologia e responsabile Unità di Gastroenterologia ed Endoscopia Fondazione Irccs Ca’ Granda ospedale Maggiore Policlinico Università degli Studi di Milano, per fare il punto sull’epidemiologia di combinazione delle IMID. Ecco un riepilogo di quanto emerso.


Epidemiologia delle IMID

La combinazione più nota è certamente quella tra psoriasi e artrite psoriasica: riguarda circa il 20% dei pazienti psoriasici che, in genere, sviluppano la malattia reumatologica successivamente; meno frequente è invece l’associazione con le malattie infiammatorie croniche dell’intestino (IBD) che quasi sempre precedono la psoriasi. Spostando il punto di osservazione dalla dermatologia alla reumatologia, emerge innanzitutto che circa l’85% di chi ha un’artrite psoriasica ha anche la psoriasi. Ma non è l’unica combinazione osservabile: «Nel corso della vita i pazienti affetti da una delle diverse forme di spondiloartrite hanno una probabilità elevata, fino al 40 per cento, di sviluppare una IBD - chiarisce Fabrizio Conti - spesso si tratta di forme subcliniche ma possono anche evolvere in forme conclamate». Infine, per quanto riguarda la gastroenterologia, il 30-40% dei pazienti con IBD nel corso della vita rischia di sviluppare altre IMID e in particolare le forme reumatologiche. Ma qual è la situazione nella quotidianità clinica? «Ipotizzando di scattare una fotografia istantanea ai miei pazienti con IBD, il 10% manifesta coinvolgimenti dermatologici o reumatologici» stima Maurizio Vecchi. «Su 100 dei miei pazienti con psoriasi, 20 hanno artrite psoriasica e meno di 5 una IBD» aggiunge Giampiero Girolomoni. Valutazioni che danno la misura di quanto il problema esista e non possa essere trascurato.


I fattori predittivi

«Queste patologie condividono fattori predittivi tra cui quelli genetici, in parte già conosciuti e che è possibile ricercare nella pratica clinica, come per esempio l’allele HLA-B27 che predispone alle spondiloartriti» spiega Fabrizio Conti. Attenzione anche alla familiarità che può essere un’altra espressione del legame tra queste malattie, come nel caso di una diagnosi di morbo di Crohn in una paziente con il padre affetto da spondiloartrite anchilosante. Ovviamente anche la storia personale può mettere in luce chi, già affetto da una IMID, ha un maggior rischio di svilupparne altre: «Un esempio sono i pazienti con IBD che presentano manifestazioni extra intestinali come l’uveite o l’artrite e in cui spesso queste manifestazioni si accumulano» precisa Maurizio Vecchi. «Si tratta di un segnale di una forte predisposizione: in definitiva l’aver sofferto una di queste condizioni favorisce anche il fatto di averne altre in futuro. Un aspetto di cui tenere conto».


Dalla psoriasi e all’artrite psoriasica: si può bloccare l’evoluzione?

Per il paziente con psoriasi la probabilità di sviluppare l’artrite, e in qualsiasi momento, è costante. Ma che elementi abbiamo per capire se alcuni pazienti sono più a rischio di altri? «Secondo alcuni studi - indica Giampiero Girolomoni - più della gravità della malattia conta la sua localizzazione: la psoriasi del cuoio capelluto, la psoriasi delle pieghe interglutee e il coinvolgimento delle unghie sono un fattore di rischio per lo sviluppo dell’artrite psoriasica». Per il riconoscimento precoce è importante capire se il paziente accusa dolori articolari e, in caso affermativo, procedere con una diagnosi differenziale. Riuscire a bloccare l’evoluzione è l’obiettivo che oggi si pongono gli specialisti: «Uno studio del mio gruppo in via di pubblicazione su Annals of the Rheumatic Diseases dimostra che un trattamento precoce ed efficace della psoriasi con farmaci biologici riduce il rischio di sviluppare un’artrite» aggiunge Girolomoni. «Non è chiaro se questo sia legato al fatto che i farmaci biologici bloccano la psoriasi oppure se è perché usiamo dei farmaci che sono un po’ efficaci anche nell’artrite.  Ma abbiamo dimostrato che un trattamento precoce ed efficace della psoriasi riduce il rischio di sviluppare un’artrite».


La diagnosi precoce di una seconda IMID

Non esistono ad oggi strumenti in grado di precorrere la diagnosi di una seconda IMID ed è quindi importante seguire con attenzione i pazienti. «In particolare, durante le visite di controllo è importante indagare la presenza di segnali e sintomi che possano ricondurre a una delle altre IMID, per poi avviare esami di secondo livello nei casi sospetti» precisa Fabrizio Conti. Ricordiamo che lo scopo dell’evento GEM Academy di quest’anno è stato proprio questo: capire come diagnosticare precocemente un’altra IMID in questi pazienti.


Gli ambulatori cross-funzionali

È chiaro che nel contesto delle IMID l’approccio multidisciplinare è inderogabile e pertanto è auspicabile che vengano realizzati sempre più ambulatori cross-funzionali che permettano di creare dei canali preferenziali tra dermatologo, gastroenterologo e reumatologo. «Queste forme di consulto sono importanti anche per risolvere i casi più complessi dove il dubbio può essere non solo diagnostico ma anche terapeutico» sottolinea Fabrizio Conti.


Un invito a continuare la ricerca sulle IMID

I progressi ottenuti negli ultimi vent’anni sono stati straordinari e oggi conosciamo molto dei meccanismi d’azione alla base delle IMID e, come sottolinea Fabrizio Conti, «è importante continuare la collaborazione multidisciplinare dal punto di vista scientifico perché alcuni di questi meccanismi non li conosciamo ancora: individuarli permetterà di mettere a punto strategie terapeutiche sempre più personalizzate». Maurizio Vecchi invita a stimolare i giovani rispetto alla ricerca traslazionale, che è quella che parte dal bancone di laboratorio e arriva al letto del malato: «Lo sviluppo dei farmaci biologici è stato proprio l’esempio classico di come comprendendo dei meccanismi non facciamo una ricerca di base fine a se stessa ma la trasferiamo al letto del malato cambiando veramente la gestione di questi pazienti. Il messaggio è, quindi, che la ricerca clinica sicuramente è importante così come quella epidemiologica, ma non dobbiamo trascurare quella di base». Conclude Giampiero Girolomoni: «Guardando al futuro, indubbiamente è necessario avviare studi prospettici multidisciplinari che aiutino a capire come curare meglio questi pazienti nel tempo. A volte c’è riluttanza nel farli soprattutto per i tempi lunghi necessari a ottenere dei risultati, ma per le IMID sono quanto mai importanti per comprendere l’andamento della malattia e l’evoluzione dei trattamenti».